EMPAGLIFLOZIN NELL’ INFARTO MIOCARDICO ACUTO: I RISULTATI DEL TRIAL EMPACT-MI
di Vittoria Rizzello
23 Aprile 2024

Nei pazienti con scompenso cardiaco (SC) empagliflozin e dapagliflozin hanno dimostrato di ridurre mortalità e re-ospedalizzazioni per SC in tutto il range di frazione di eiezione (FE) e indipendentemente dalla presenza di diabete. Pertanto, hanno guadagnato nelle linee guida internazionali un’indicazione di  Classe IA nel trattamento di tutti i pazienti con SC a FE ridotta e preservata.

Nel corso dell’edizione 2024 del congresso dell’American College of Cardiology, appena conclusosi, sono stati presentati i risultati dello studio EMPACT-MI in cui empagliflozin non ha dimostrato di ridurre in maniera significativa l’end-point composito di mortalità per tutte le cause e ospedalizzazioni per SC, nei pazienti con infarto miocardico acuto (IMA).

I risultati dello studio sono stati pubblicati contemporaneamente sul NEJM (1)

Lo studio EMPACT-MI  è un trial randomizzato in doppio cieco che ha arruolato, tra dicembre 2020 e marzo 2023,   6622 pazienti con IMA a rischio di sviluppare SC.

I criteri di definizione dell’alto rischio di sviluppare SC erano rappresentati dalla presenza di FE<45% e/o segni di congestione con necessità di trattamento durante il ricovero, in associazione ad almeno un fattore di aggravamento tra: età >65 anni, FE<35% di nuovo riscontro, storia di pregresso IM, fibrillazione atriale o diabete tipo 2, presenza di eGFR <60 ml/min/1.73m2, elevati livelli di peptidi natriuretici o acido urico, valori elevati di pressione sistolica polmonare, presenza di malattia coronarica trivasale, vasculopatia periferica o mancata rivascolarizzazione dell’infarto indice.

I pazienti sono stati randomizzati a empagliflozion 10 mg (3260 pazienti) o placebo (3262 pazienti) entro 15 giorni  dall’ingresso in ospedale.  L’end-point primario  è stato un composito di morte per tutte le cause o prima ospedalizzazione per SC.

Il 78.4% dei pazienti arruolati presentava una FE <45%  e il 57% presentava sintomi di SC. Il fattore di aggravamento era rappresentato nel 50% dei casi dall’età >65anni e nel 32% dei casi dal diabete; inoltre, nel 70% dei casi erano presenti più fattori di aggravamento nello stesso paziente. La rivascolarizzazione della coronaria culprit è stata effettuata nel 89.3% dei pazienti.

Durante il follow-up di 17.9 mesi, l’end-point primario si  è verificato nel 8.2% per pazienti randomizzati a empagliflozin e nel 9.1% dei pazienti randomizzati a placebo, con una incidenza, rispettivamente,  di 5.9 e 6.6 eventi per 100 pazienti/anno (HR: 0.90; 95%IC 0.76-1.06; P=0.21). Per quanto riguarda le singole componenti dell’end-point composito, una prima ospedalizzazione per SC si è verificata nel 3.6% del gruppo emplagliflozin e nel 4.7% del  gruppo placebo (HR, 0.77; 95% IC 0.60-0.98), mentre la morte per tutte le cause si è verificata nel 5.2% e nel 5.5% dei pazienti, rispettivamente (HR: 0.96; 95% IC 0.78-1.19). Nell’analisi  dei molteplici end-point secondari chiave, nessuno è risultato significativamente ridotto nel gruppo emplagliflozin. Riguardo agli end-point esploratori, il numero totale delle ospedalizzazioni per SC è risultato significativamente inferiore nel gruppo trattato rispetto al placebo (2.4  vs 3.6 eventi, rispettivamente, per 100 pazienti/anno; rate ratio 0.67; 95%IC 0.51-0.89).

Il profilo di sicurezza di empagliflozin è stato confermato anche in questa popolazione di pazienti.

CONSIDERAZIONI

I risultati dello studio EMPACT-MI aggiungono nuove evidenze sull’utilizzo delle gliflozine nel setting dell’IMA.

Il precedente trial DAPA-MI aveva fallito nel documentare un beneficio prognostico di dapagliflozin in pazienti con IMA in assenza di diabete e storia di SC (2). Tale insuccesso è stato confermato anche per empagliflozin nel trial EMPACT-MI, nonostante lo studio abbia incluso una popolazione notevolmente più numerosa e con un rischio di sviluppare SC molto più elevata, confermando l’effetto di classe non solo in positivo (nei pazienti con SC) ma anche in negativo (nei pazienti con IMA) per questi due farmaci.

I motivi della mancata riduzione dell’end-point primario in EMPACT-MI possono essere molteplici. Innanzitutto, nel trial le percentuali di eventi sono state molto basse (tanto da giustificare un incremento del campione dagli iniziali 3312 a 6522 pazienti). Tale bassa incidenza è dovuta probabilmente all’implementazione di una buona terapia medica e all’altissima percentuale (circa 90%) di rivascolarizzazione dell’infarto indice.

Inoltre, come gli stessi autori sottolineano, lo svolgimento dello studio nel corso della pandemia da COVID-19 può aver influenzato il numero delle ospedalizzazioni per SC che in questo periodo si sono ridotte.  In aggiunta, l’end-point primario prevedeva solo la prima ospedalizzazione per SC, mentre non considerava il numero totale di tutte le ospedalizzazioni o gli episodi di  SC gestiti in setting ambulatoriali, che sono un end-point frequentemente considerato nei trial sullo SC, perché fortemente impattanti sulla qualità di vita del paziente. Nell’analisi esploratoria che ha considerato tutte ospedalizzazioni per SC durante il follow-up, empagliflozin è infatti risultato superiore al placebo. L’inclusione di tali eventi nell’end-point  primario avrebbe forse portato a un risultato differente. Infatti, bisogna ancora notare che oltre il 50% degli end-point era rappresentato da morti per tutte le cause. Nel contesto dell’IMA i meccanismi responsabili della morte possono essere rappresentati da eventi acuti come la trombosi dello stent, il re-infarto , le complicanze meccaniche, le aritmie maligne; tutti questi meccanismi è improbabile che possano essere influenzati da empagliflozin. D’altro canto è plausibile che dopo un IMA l’impatto della rivascolarizzazione sulla prognosi a lungo termine sia prevalente rispetto al potenziale effetto benefico delle gliflozine, attraverso la prevenzione di ulteriori eventi ischemici fatali e non fatali e del rimodellamento sfavorevole.

In conclusione, sulla base dei risultati dei 2 studi DAPA-MI ed EMPACT-MI, l’utilizzo delle gliflozine nel setting dell’IMA non sembra al momento giustificato, neppure nei pazienti con caratteristiche di alto rischio per lo sviluppo di SC.  L’evidenza di una possibile riduzione delle ospedalizzazioni per SC con empagliflozin meriterebbe comunque di essere approfondita e ulteriormente indagata in studi futuri.

REFERENCES:

1. Butler J, Jones WS, Udell JA et al. Empagliflozin after Acute Myocardial Infarction. N Engl J Med. 2024 Apr 6. 

2. James S, Erlinge D, Storey RFet al. Dapagliflozin in Myocardial Infarction without Diabetes or Heart Failure. NEJM Evid. 2024 Feb;3(2):EVIDoa2300286.