REDUCE-AMI: l’importanza di ritestare i vecchi dogmi
di Filippo Stazi
23 Aprile 2024

I beta-bloccanti non riducono il rischio di morte o reinfarto nei pazienti infartuati con funzione sistolica preservata, trattati con gli attuali standard terapeutici. I risultati del REDUCE-AMI, appena pubblicati sul New England Journal of Medicine (1) rafforzano quanto già era emerso (2-3) al riguardo.

Trials ormai storici (4-6) degli anni ’80 avevano dimostrato che il trattamento a lungo termine con i beta-bloccanti nel postinfarto riduce la mortalità di circa il 20%. Questi studi però hanno coinvolto in gran parte pazienti con infarti estesi e disfunzione ventricolare sinistra, sottoposti a trattamenti completamente differenti da quelli che vengono impiegati attualmente. Inoltre dimostrazioni di un effetto benefico di questi farmaci nei pazienti di oggi, con infarto e funzione sistolica preservata, provenienti da studi randomizzati non sono disponibili. Ciò nonostante l’uso dei beta-bloccanti anche in questo contesto è tuttora molto diffuso.

Il REDUCE-AMI ha randomizzato, tra il 2017 ed il 2023, 5020 pazienti a ricevere o meno, entro massimo 7 giorni dopo un infarto acuto (35% STEMI), la terapia beta-bloccante (metoprololo a dose target di 100 mg od in alternativa bisoprololo a dose target di 5 mg). I pazienti per essere eligibili dovevano presentare evidenza di malattia coronarica ostruttiva ed avere un FE > 50%. La presenza di una diversa indicazione all’uso di tali farmaci o di una controindicazione al loro impiego era causa di esclusione dallo studio.

L’età media dei soggetti era 65 anni, il 22,5% era di sesso femminile, il 55% aveva la malattia di un solo vaso coronarico, il 27% di due e il 17% era trivasale o presentava lesione del tronco comune.

L’end point primario era l’occorrenza di morte da ogni causa o reinfarto; end point secondari erano invece: morte da ogni causa, morte cardiaca, infarto, ospedalizzazione per scompenso o per fibrillazione atriale. Il 95,5% dei malati è stato trattato con PCI ed il 3,9% ha ricevuto un by-pass. Alla dimissione il 97% era in aspirina, il 96% riceveva un secondo antiaggregante, l’80% assumeva un inibitore del sistema renina-angiotensina e il 98% prendeva la statina.

Dopo un follow up mediano di 3,5 anni non si è rilevata alcuna differenza significativa dell’end point primario: 7,9% nel gruppo beta-bloccato, con un tasso di evento annuale di 2,4%, e 8,3% con un tasso di evento annuale di 2,5%, negli altri (P=0.64). Nessuna differenza si è evidenziata anche negli end points secondari.

Da segnalare che i dosaggi utilizzati, sia del metoprolo che del bisoprololo, sebbene più bassi di quelli usati nei trials del passato, rispecchiano quelli dell’attuale pratica clinica e che non si è osservata una relazione tra il dosaggio assunto e il rischio di occorrenza dell’end point primario. Ultimo dato da evidenziare è che i risultati dello studio si applicano solo ai pazienti con funzione sistolica conservata che, però, sono ormai la maggior parte dei pazienti colpiti da infarto miocardico.

Il REDUCE-AMI ci consegna due messaggi importanti: il primo è che i pazienti contemporanei con infarto e funzione sistolica conservata, ben trattati con rivascolarizzazione precoce e terapia medica ottimizzata, presentano un rischio basso (2,4-2,5%) ed inferiore a quanto creduto, di morte e reinfarto e non ricevono benefico dalla terapia cronica beta-bloccante, che possiamo quindi evitare di prescrivere, specie se gli ulteriori studi in corso (DANBLOCK , BETAMI e REBOOT) confermeranno tali dati.

Il secondo è che è necessario mettere in discussione i vari dogmi ancora presenti in cardiologia, derivati da studi condotti in un passato ormai lontano, su pazienti e con terapie che non sono più indicativi della condizione attuale.  La pasticca di beta-bloccante è sempre la stessa e se oggi nel REDUCE-AMI non funziona più è probabilmente perché, rispetto a qualche decade fa, sono cambiati i pazienti (funzione sistolica conservata) e sono cambiate le terapie con cui li curiamo (nello studio oltre il 95% dei pazienti è stato trattato con PCI, doppia terapia antiaggregante e una statina e più dell’80% ha ricevuto un ACE inibitore o un sartano, terapie che praticamente non esistevano negli anni ’80).

Bibliografia:

  1. Yndigegn T, Lindahl B, Mars K et al. for the REDUCE-AMI Investigators. Beta-Blockers after Myocardial Infarction and Preserved Ejection Fraction. N Engl J Med 2024;390:1372-81.
  2. Ishak D, Suleman A, Lindhagen L et al. Association of beta-blockers beyond 1 year after myocardial infarction and cardiovascular outcomes. Heart 2023;0:1–7. doi:10.1136/heartjnl-2022-322115
  3. Stazi F.Bye Bye Beta Blockers? 13 giugno 2023 www. centrolottainfarto.com
  4. The Norwegian Multicenter Study Group. Timolol-induced reduction in mortality and reinfarction in patients surviving acute myocardial infarction. N Engl J Med 1981;304:801-7.
  5. Hjalmarson A, Elmfeldt D, Herlitz J, et al. Effect on mortality of metoprolol in acute myocardial infarction: a double-blind randomised trial. Lancet 1981;2:823-7.
  6. A randomized trial of propranolol in patients with acute myocardial infarction. I. Mortality results. JAMA 1982;247:1707-14