L’impiego dell’angioplastica nel trattamento della placca vulnerabile. Lo studio PREVENT
di Francesco Prati
11 Aprile 2024

Studi pubblicati a partire dal 2019 hanno motivato un rinnovato interesse sulla vulnerabilità di placca. Non si avevano tuttavia a disposizione dati clinici, derivanti da studi randomizzati,  sull’utilizzo di procedure di angioplastica nello stabilizzare l’aterosclerosi.

C’era pertanto molto attesa sui risultati dello studio  PREVENT, presentato al congresso dell’American College of Cardiology e pubblicato su Lancet pochi giorni fa. Il trial è stato il primo a valutare l’impatto clinico dell’angioplastica coronarica di lesioni considerate vulnerabili. Si tratta di uno studio multicentrico open label randomizzato su 1600 pazienti con stenosi giudicate non significative alla valutazione funzionale ( FFR < 0.8) e randomizzati ad angioplastica più terapia medica ottimale oppure a sola terapia medica ottimale.

A due anni di follow up, l’end-point principale dello studio inteso come composito di morte cardiaca, infarto miocardico del vaso target o ricovero per angina instabile è risultato del 0,4% del gruppo con angioplastica e del 3,4% nel gruppo in terapia medica. In termini assoluti si trattava di una differenza percentuale del 3% ([95% CI –4.4 to –1.8]; p=0·0003). Il composito di morte cardiaca o infarto miocardico del vaso target era più bassa a due anni nel gruppo trattato con angioplastica 0,3% vs 1,4%. Si apprezzava anche la costante riduzione di tutti gli endpoint presi singolarmente (anche se non significativa) nel gruppo angioplastica ad indicare i potenziali vantaggi di questa strategia.

Definizione delle placche vulnerabili

Le placche vulnerabili dovevano presentare almeno due delle seguenti quattro caratteristiche:  aria luminale minima al di sotto di 4 mm² all’IVUS o all’ OCT, plaque burden maggiore del 70% all’IVUS ,  placca lipidica importante all’IVUS NIRS ( Max Lipid pool burden (LCBI) > 315) o capsula fibrosa sottile al di sotto di 65 microns valutata all’OCT oppure giudicata sottile all’IVUS con  radiofrequenza.

Commento

Lo studio è importante. Si tratta l’argomento della vulnerabilità di placca da molti anni e si attendevano i risultati del primo studio randomizzato. Il trial, nonostante alcuni limiti metodologici, dimostra che il trattamento delle lesioni a rischio di eventi riduce del 3% in termini assoluti l’end point principale, un composito che prevede anche elementi clinici “hard” ( infarto target, angina instabile e morte cardiaca). E’ importante notare come  l’infarto miocardico target, la morte cardiaca e il ricovero per angina instabile si siano ridotti a due anni in termini assoluti e rispettivamente dello 0,7%, 0,7 % ed 1,4%).  

E’ anche da sottolineare come lo studio sia risultato favorevole all’angioplastica nonostante la maggior parte dei soggetti  studiati fosse composta da soggetti stabili ( oltre il 80% dei cas)i. Gli  studi di vulnerabilità in corso e non ancora pubblicati vertono invece su soggetti con sindrome coronarica acuta ed in cui è lecito attendersi un tasso di eventi più alto.

L’impiego di più tecniche di imaging intracoronarica tra cui ecografia intracoronarica, NIRS-IVUS . IVUS non radiofrequenza ed infine OCT rappresenta sicuramente un limite metodologico. L’OCT e l’IVUS NIRS si sono dimostrate molto valide nel definire le placche a rischio di eventi. Non si può fare la stessa affermazione per IVUS non radiofrequenza , impiegata nel PROSPECT I e utilizzata per identificare la capsula fibrosa sottile nonostante l’IVUS non abbia una risoluzione adeguata per questo obiettivo.

Un altro aspetto metodologico da interpretare a mio modo di vedere come con limite è dato dall’impiego di stent bioassorbibile per trattare le lesioni vulnerabili in una non trascurabile percentuale di casi ( 33%). Non a caso uno sub-group interaction testing suggeriva che la prognosi a lungo termine dell’ angioplastica era superiore nei soggetti trattati con stent medicato piuttosto che con scaffold bioassorbibile. Lo scaffold bioassorbibile infatti, a differenza dei DES possono andare incontro a trombosi tardiva. Quest’ultima si è verificata in due soggetti nel gruppo randomizzato ad angioplastica entri i due anni di FU e molto più spesso dopo i due anni. L’impiego di questi scaffold bio-assorbibili  rappresenta pertanto un limite che ha condizionato i risultati ad un follow up più lungo. Il tasso di morte per ogni causa o infarto miocardico target era simile a quattro anni (2,4% versus 3,4%).

In conclusione lo studio PREVENT ha dimostrato che l’impiego dell’angioplastica migliora l’outcome clinico in pazienti con lesioni coronariche giudicate non significative alla valutazione funzionale. E’ sicuramente un trial incoraggiante che, pur con qualche limite metodologico, accende ulteriormente  l’interesse nel trattamento della placca vulnerabile.